Identikit di chi paga le tasse. I dati e i numeri con l’indagine effettuata dall’Istat.
Fonte: www.lavoce.info
L’Istat ha pubblicato un focus sulla distribuzione del carico fiscale in Italia. Utile anche perché consente confronti con altri paesi europei e con i dati del ministero dell’Economia. Reddito di dipendenti e autonomi, cuneo fiscale, aliquote e detrazioni per i familiari tra sorprese e conferme.
IL REDDITO DEGLI ITALIANI
Negli stessi giorni in cui scopriamo i nomi dei numerosi contribuenti italiani che hanno depositi in Svizzera, l’Istat ha pubblicato un focus statistico sulla distribuzione del carico fiscale tra i lavoratori e le famiglie. Lo studio parte dai dati EU-Silc che consentono confronti a livello europeo sulle condizioni di vita dei cittadini di numerosi paesi dell’Unione.
Tra i numeri pubblicati, alcuni sono da appuntare.
Circa l’80 per cento dei redditi lordi individuali degli italiani non supera i 30mila euro annui. Solo il 2,4 per cento della popolazione ha redditi oltre i 70mila euro. I dati sono coerenti con quelli pubblicati dal ministero dell’Economia e delle Finanze sulle dichiarazioni del 2012, da cui sappiamo anche che il 2,4 per cento dei più ricchi versa il 26,4 per cento dell’imposta netta totale. Questi dati vengono spesso richiamati per ricordare la disuguaglianza (crescente) nel nostro paese e, più di recente, per evidenziare come la maggiore mobilità internazionale (e le maggiori possibilità di elusione ed evasione fiscale?) di coloro che hanno redditi elevati mettano a repentaglio una parte elevata delle entrate fiscali. Quanto più il reddito è concentrato (come in Italia), quanto più cresce il rischio.
IL PESO DEL CUNEO FISCALE
Il lavoratore dipendente percepisce come reddito netto circa il 53 per cento del suo reddito lordo. Con un cuneo fiscale sul lavoratore medio pari al 47,8 per cento, l’Italia si conferma uno dei paesi con i livelli più elevati tra i paesi Ocse (ma dietro Belgio, Germania e Francia). I dati di confronto internazionale si riferiscono al 2012. La manovra sugli 80 euro avrà fatto calare il cuneo di qualche punto decimale, ma non sappiamo se ci farà scendere di qualche posizione in classifica (e in questa classifica scendere non sarebbe un segnale negativo…).
La riduzione della base imponibile dell’Irap, commisurata al costo del lavoro, non dovrebbe generare riduzioni significative di carico fiscale per i lavoratori autonomi. D’altra parte, l’incremento dell’aliquota ordinaria (che torna al 3,9 per cento dal 3,5 per cento) dovrebbe essere compensato dal credito d’imposta del 10 per cento sull’Irap lorda, con carico fiscale complessivamente immutato.
Sono poi tutti da valutare, perché ancora oggetto di revisione normativa, i cambiamenti al regime dei minimi, che incidono in particolare sui lavoratori autonomi di giovane età e con redditi più bassi.
LE ALIQUOTE DI AUTONOMI E DIPENDENTI
L’aliquota media d’imposta sui lavoratori dipendenti risulterebbe sulla base di questi dati più elevata rispetto a quella sui lavoratori autonomi, così come il grado di progressività dell’imposta. La minore aliquota media dei lavoratori autonomi sarebbe spiegabile con la maggiore concentrazione di questi ultimi nelle classi basse di reddito: oltre il 40 per cento degli autonomi ha un reddito lordo sotto i 10mila euro, mentre per i lavoratori dipendenti la percentuale corrispondente è 27,5 per cento.
Questi dati sono stati interpretati come (ennesima) dimostrazione dell’alta propensione all’evasione fiscale da parte dei lavoratori autonomi in Italia. Tuttavia, è importante evitare grossolani errori interpretativi. Per esigenze di comparabilità a livello europeo, l’Istat ha considerato tra i lavoratori autonomi quelli parasubordinati (che invece sono fiscalmente assimilati ai lavoratori dipendenti) e, inoltre, ha preso in considerazione qualsiasi percettore di reddito (con il risultato di includere tra i lavoratori autonomi anche coloro che conseguono un reddito a questo titolo, pur essendo prevalentemente imprenditori o dipendenti). Se, invece, guardiamo ai dati diffusi dal Mef per l’anno di imposta 2012 e confrontiamo i circa 20 milioni di lavoratori prevalentemente dipendenti con i 718mila lavoratori prevalentemente autonomi, troviamo che i primi dichiarano un reddito imponibile lordo medio di circa 21.300 euro e i secondi un valore praticamente doppio (43.800 euro). Inoltre, l’aliquota media dei primi è di circa il 25 per cento, quella dei secondi superiore al 33 per cento. Ciò dipende evidentemente dal fatto che i lavoratori parasubordinati e i lavoratori autonomi “marginali” (cioè la cui fonte prevalente di reddito è di altra natura) hanno redditi medi piuttosto bassi rispetto alla rimanente platea e cambiano completamente il segno del confronto. Ovviamente questo non vuol dire che il problema dell’evasione – dei redditi da lavoro autonomo e degli altri redditi autodichiarati – non esista, ma suggerisce che questi ulteriori dati non cambiano ciò che già sapevamo al riguardo. Ovvero che l’evasione in Italia, malgrado una tendenza alla riduzione che si è manifestata in modo non lineare e continuo negli ultimi quindici anni, continua a rimanere su livelli elevati rispetto al resto dell’Europa.
LE DETRAZIONI PER FAMIGLIARI A CARICO
Le famiglie con minori hanno aliquote medie più basse grazie a detrazioni per famigliari a carico e assegni famigliari, ma tra le famiglie con redditi al di sotto dei 15mila euro la presenza di minori non determina una riduzione significativa dell’aliquota media. I numeri divulgati dall’Istat sono interessanti per la valutazione del carico fiscale a livello familiare, un punto di vista che i dati ministeriali non offrono. E rivelano che, in assenza dell’introduzione di trasferimenti monetari agli incapienti, il solo sistema delle detrazioni per famigliari a carico non riesce a risolvere il problema della povertà nelle famiglie con figli minori.
Tra l’altro, nelle famiglie con redditi bassi il fenomeno dell’incapienza è più probabile si verifichi se – a parità di reddito – ci sono più percettori, ossia se sia la mamma che il papà partecipano al mercato del lavoro, ma con salari bassi o con orari limitati. Nel formulare le misure di incentivazione al lavoro femminile, sarebbe opportuno tenere conto delle distorsioni che possono derivare dal fenomeno dell’incapienza: un caveat per disegnare bene il tax credit proposto nel Jobs Act.
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