Antiriciclaggio. Al professionista costa cara la mancata adeguata verifica del cliente. Per la Cassazione reato con dolo generico.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46415 del 23 novembre 2015, si è espressa su di un tema molto delicato relativo alla normativa antiriciclaggio, in particolar modo per quanto inferisce l’adeguata verifica del cliente.
Nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha ribadito la centralità di tale presidio antiriciclaggio, sottolineando come questo debba essere svolta nel modo corretto.
Con la sentenza n. 46415 del 23/11/2015, è stata confermata la condanna di destinatari della normativa antiriciclaggio, che nell’ambito dell’adeguata verifica non hanno svolto correttamente l’obbligo di identificazione del cliente.
Non solo, questa sentenza evidenzia che ad integrare il reato, basta il dolo generico:
Va ribadito, infatti, che è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 55 D.lgs 231/2007, il dolo generico, cioè la circostanza -nel caso che ci occupa incontestata- che l’intermediario ometta intenzionalmente di procedere all’identificazione personale, richiesta dall’art. 18 e sanzionata dall’art. 55, senza che sussista una causa di giustificazione. Ma quest’ultima dev’essere tale in senso tecnico, e non pare proprio che in tal senso possa essere interpretata la “fiducia” riposta in chi presenta la richiesta di prestito per conto altrui.
Stando alla sentenza infatti, due impiegate di un ufficio postale avrebbero provveduto all’inoltro della richiesta di alcuni finanziamenti, senza provvedere invece ad identificare il reale beneficiario degli stessi e limitandosi ad accettare la documentazione fornita, per interposta persona, da una consulente fiscale del lavoro, in virtù della buona nomea che tale professionista vantava nell’ambiente. In pratica hanno svolto l’adeguata verifica FIDANDOSI senza invece verificare.
La Cassazione ribalta dunque la sentenza della Corte d’Appello che aveva accolto l’appello delle due impiegate delle Poste partendo da un presupposto essenziale della 231/07, ovvero l’elemento soggettivo. Una componente, quella soggettiva, che è da ritenersi cardine e che caratterizza l’adeguata verifica nei termini del Decreto Legislativo, risiedendo difatti il core della valutazione proprio nella compenetrazione tra elementi oggettivi ed elementi soggettivi.
Prendendo in esame quest’ultimi, la Corte d’Appello aveva assolto le due intermediarie finanziarie considerando la mancata sussistenza del reato per mancanza del dolo. Una decisione coadiuvata dal fatto che una delle due accusate, una volta compreso il raggiro effettuato dalla consulente, aveva sporto denuncia in prima persona.
A ribaltare però tale sentenza ci ha pensato, come precedentemente accennato, proprio la Corte di Cassazione, la quale ha affermato un importante principio destinato a fare scuola: la comprensione del dolo generico come causa sufficiente ai fini della definizione del delitto.
Le imputate infatti sono chiamate a rispondere dei reati di cui agli artt. 15, 18 e 55 del Dlgs. 231/2007.
In base all’articolo 15 infatti viene definito quando per gli intermediari finanziari sorgono gli obblighi di Adeguata Verifica mentre nell’articolo 18 sono indicati gli obblighi cui attenersi nello svolgimento dell’Adeguata Verifica, tra cui spicca il comma 1 lettera a che richiede di: “identificare il cliente e verificarne l’identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente”.
L’articolo 55, rientrando la materia nell’alveo penale, a propria volta nel primo comma dispone che, ad eccezione che il fatto non costituisca un più grave reato, tutti i soggetti in capo ai quali grava l’obbligo di identificazione sono puniti con la pena pecuniaria di una multa fino a 13.000 euro, quando contravvengono alle disposizioni relative agli obblighi di identificazione contenuti nel Titolo II, Capo I.
Peraltro la Corte di Cassazione ha tenuto conto anche dell’articolo 23 del Decreto Legislativo, in cui è esplicitamente configurato l’obbligo di astensione nel caso in cui non sia possibile adempiere adeguatamente agli obblighi necessari per effettuare una completa adeguata verifica.
Dunque ciò che emerge è che pur non avendo le imputate tenuto una condotta volta a commettere il reato, è sufficiente l’intenzione volontaria di non adempiere agli obblighi di adeguata verifica, da cui il dolo generico. Non è stata giudicata inoltre attenuante sufficiente il fatto che quest’omissione sia stata effettuata in buona fede e sulla base della positiva nomea della professionista che aveva escogitato la truffa ed anche sulla base dell’esibizione di una parziale documentazione da parte di chi aveva architettato la truffa.
Tra le intenzioni della Corte di Cassazione è gioco facile determinare come abbia voluto sottolineare che il precipuo scopo della normativa antiriciclaggio, in particolar modo in riferimento all’Adeguata Verifica, sia proprio quello di rendere esplicitamente identificabili coloro i quali muovono i capitali di un’operazione, ma in questo caso la ratio alla base della norma avrebbe dovuto consentire anche che non avvenisse ciò che poi effettivamente è accaduto, ovvero che si verificasse un comportamento fraudolento da parte di un soggetto ai danni di terzi attraverso l’utilizzo non autorizzato di dati ed anagrafiche.
Dunque l’elemento soggettivo presente nell’ Adeguata Verifica non deve e non può essere inteso come un vulnus normativo di cui approfittare per giustificare una mancanza nell’adempimento degli obblighi antiriciclaggio bensì come una componente necessaria dei controlli.
Al tempo stesso ciò che emerge con forza dalla sentenza è come il dolo generico sia sufficiente per la condanna di un professionista, sancendo una vera e propria stretta in tal senso ed asserendo un principio di rigidità esegetica nella fase di verifica di quanto effettuato nel momento in cui si è eseguita l’Adeguata Verifica del cliente.
Di: Dott. Cesare Montagna
Ateneos Studi e Ricerche conformità normativa
Coordinatore normativa
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