Transfer pricing interno sotto osservazione e contestazioni sull’abuso del diritto
Fonte: FiscoOggi 06/07/2015
Transfer pricing interno: sospetto, se non al normale valore di mercato
In applicazione del principio generale del divieto di abuso del diritto, le operazioni di “transfer pricing domestico” tra società operanti in Italia possono dar luogo a fenomeni di elusione fiscale se non avvengono al valore normale di mercato previsto dall’articolo 9 del Tuir, che costituisce una vera e propria clausola antielusiva non solo nei rapporti internazionali di controllo, ma anche in analoghi rapporti di diritto interno.
Spetta al giudice di merito vagliare correttamente gli elementi forniti dall’Ufficio finanziario per dimostrare l’abuso del diritto e valutare se dall’operazione compiuta sia derivato un indebito vantaggio fiscale per il contribuente.
Così ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12844 del 22 giugno 2015.
La decisione
La controversia trae origine dal ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento Irpeg-Iva e Irap, accolto sia in primo che in secondo grado.
Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale, che aveva sancito l’illegittimità dell’attode qua, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione.
I giudici della Suprema corte hanno accolto i motivi di doglianza proposti dall’Amministrazione finanziaria e cassato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione di secondo grado.
I giudici della Ctr avevano ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento avente a oggetto la ripresa a tassazione di un’operazione infragruppo di “transfer pricing domestico”, limitandosi a escludere che, nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria avesse fornito elementi idonei a provare che l’operazione impugnata fosse da ritenersi elusiva.
Di parere contrario i giudici della Suprema corte, che hanno osservato come il ricorso proposto dall’ufficio finanziario presentasse tutti gli elementi tali da indicare come elusiva l’operazione infragruppo oggetto di valutazione, tra cui “il notevole divario rispetto alle indicazioni OMI e la sospetta operazione societaria posta in essere a pochi mesi dalla conclusione del contratto”.
Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sulla valutazione ai fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni tra società facenti parte di uno stesso gruppo e aventi tutte sede in Italia, conosciute come “[themecolor]transfer pricing domestico[/themecolor]”.
In base a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 17955/2013), nell’ipotesi di transfer pricing “domestico” o “interno” deve essere applicato “il principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. 917/1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi.”
La Suprema corte, ben conscia che la disciplina nazionale sul transfer pricing “esterno o internazionale”, originata dal modello di convenzione Ocse ispirato al principio della libera e corretta concorrenza, non possa di per sé trovare applicazione diretta al transfer pricing “interno”, ritiene tuttavia che la regola del valore normale prevista dall’articolo 9 costituisca una vera e propria clausola antielusiva.
In tale ottica, in applicazione del divieto di abuso del diritto, è precluso al contribuente
“il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere agevolazioni o risparmi d’imposta, in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.
In ragione di tale principio, non può escludersi a priori che operazioni di transfer pricing “domestico”, tra società residenti in Italia e facenti parte di uno stesso gruppo, possano dar luogo a un fenomeno di elusione fiscale ogniqualvolta la fissazione di un prezzo fuori mercato sia dettato dalla convenienza in ambito nazionale di trasferire materia imponibile, considerato che, nella valutazione del comportamento della società coinvolta, si deve far riferimento comunque al principio dell’articolo 9 del Tuir.
Alla luce di tali osservazioni, va cassata la sentenza in cui i giudici d’appello si sono limitati a escludere l’elusività dell’operazione senza una valutazione di merito degli elementi raccolti dall’Amministrazione finanziaria (tra cui il divario rispetto ai valori Omi e la sospetta tempistica dell’operazione nel suo complesso) perché, a parere della Suprema corte, è “compito del giudice di merito procedere ad una valutazione delle circostanze, anche valutando se dall’operazione compiuta sia derivato un vantaggio fiscale per il contribuente”
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!